l'enorme
potenziale ed i suoi possibili rapporti con la giovane America
bianca dell'età Rooseveltiana; uno dunque che fosse bianco,
oltrechè giovane, ma che appartenesse, come lui, ebreo di origine
russa, all'America dei ghetti, quella musicalmente più creativa.
Nel West Side di Chicago, dove era nato il 30 Maggio del 1909, non
vivevano che ebrei e, in numero minore, italiani. A qualche
isolato di distanza dalla sua abitazione aveva inizio il quartiere
che pochi nni dopo sarebbe diventato il sicuro rifugio della
malavita italo-americana. Suo padre, un sarto, faceva molta fatica
a tirar su i dodici figli. Per alcuni di essi scelse subito la
musica come carriera: sapeva bene che per gli ebrei, come per gli
italiani ed i negri, era quella una delle strade possibili. Si
imparava uno strumentoe ci si ingegnava a trovar da lavorare in
compagnia di altri poveracci. Non c'era bisogno di bussare alle
porte dell'Establishment: chi dava lavoro ai musicisti aveva molto
spesso un cognome ebreo o italiano, ed era stato a sua volta un
poveraccio.
Benny Goodman iniziò a studiare il clarinetto in una sinagoga. Più
avanti gli fu possibile ascoltare alcuni grandi del jazz, come i
New Orleans Rhythm Kings oppure Bix Beiderbecke , al cui fianco
suonò, in calzoni corti, su un battello da escursione. Quando
iniziò a studiare sotto la guida di Franz Schoeppe, un ottimo
insegnante tedesco di clarinetto, cominciò ad ascoltare tutti gli
altri, in primis King Oliver e Louis Armstrong. Aveva solo sedici
anni quando gli fu offerta la prima grande occasione: lo voleva
nella sua formazione nientemeno che Ben Pollack, uno dei più noti
bandleaders del momento. Al suo fianco arrivò poco dopo un altro
giovane che avrebbe fatto parlare di sè, Glenn Miller; poi
vennero Jack Teagarden e Jimmy McPartland, due puri del jazz. Dopo
entrò nell'orchestra di fossa che suonava per la rivista di
George Gershwin ed accanto a lui continuava ad esserci Glenn
Miller insieme a Gene Krupa. Al jazz non pensava più, era una
musica da tutti ed al grosso pubblico non piaceva affatto.
Si meravigliò molto, perciò, quando un giorno John Hammond gli
propose di registrare dei dischi di jazz purissimo coi migliori
solisti disponibili, bianchi e neri, per la Columbia inglese. Ma i
dischi registrati per Hammond, insieme alle escursioni notturne ad
Harlem dove ascoltò per la prima volta Billie Holiday, dovettero
fargli tornare l'entusiasmo per il jazz perchè, nel marzo del
1934, si ritrovò a dirigere un' orchestra sua, e di jazz,
perlomeno entro certi limiti. Sapeva soltanto infatti che voleva
dirigere una formazione "che suonasse musica da ballo in uno
stile libero e musicale".
L'orchestra annoverava tra i suoi elementi il batterista Gene
Krupa, il pianista Jess Stacy, l'altosassofonista Toots Mondello
ed il trombettista Bunny Berigan. Teddy Wilson, un altro
raccomandato di John Hammond, rappresentava invece un problema:
era nero e nessuno, fino ad allora, aveva mai visto un nero
suonare in un'orchestra di bianchi. Ma il clarinettista volle
comunque incidere un paio di dischi con lui e Gene Krupa,
sperimentando così la formula di quel trio che sarebbe stato
costituito ufficialmente alcuni mesi dopo e che avrebbe fatto
sensazione. Dopo molte incisioni di successo al trio si aggiunse
Lionel Hampton . Del nuovo eccellente jazz da camera venne così
prodotto, e un altro passo fu fatto verso l'integrazione razziale.
Quando Goodman, ormai incoronato re dello swing, si trasferì a
New York la swing craze esplose definitivamente: per i giovani
americani e gran parte di quelli europei non ci fu più altra
musica al di fuori del jazz, e non ci fu, per qualche anno,
musicista più popolare dell'occhialuto clarinettista di Chicago.
Sia lui che le sue formazioni, l'orchestra ed il quartetto,
meritavano il successo. Attentissimo ai gusti del grande pubblico,
Goodman non lo secondò mai più di tanto, perchè gli diede
sempre della musica congegnata con ottimo gusto ed impeccabilmente
eseguita, avendo come collaboratori solisti di gran classe ed
alcuni dei più brillanti arrangiatori neri: Fletcher Henderson,
Jimmy Mundy, Edgar Sampson e perfino Mary Lou Williams, che gli
sottopose una partitura di "Roll'em" che fece furore.
Con il suo repertorio e con solisti valorosi come i trombettisti
Ziggy Elman e Harry James, Teddy Wilson, Lionel Hampton e Gene
Krupa, ormai il più famoso batterista al mondo, la troupe
goodmaniana non poteva mancare il segno. Non lo mancò neppure nel
gennaio del 1938, quando ricevette gli onori del trionfo in un
memorabile concerto alla Carnegie Hall che decretò il nuovo
status raggiunto dal jazz e che nella carriera del clarinettista
rappresentò il momento culminante.
Goodman era un direttore esigentissimo, incontentabile, e tutt'altro
che diplomatico coi suoi uomini. All'inizio del 1938 qualcosa
cominciò ad andare per il verso sbagliato. Gene Krupa, la grande
stella dell'orchestra, decise di metter su una formazione sua,
seguirono il suo esempio Harry James, Ted Wilson ed anche l'altro
pianista, Jess Stacy, se ne andò. Nell'immenso serbatoio del jazz
americano, ad ogni modo, i talenti si sprecavano e l'ineffabile
Hammond gli prresentò, di sorpresa, un ragazzotto nero di
Oklahoma City. Si chiamava Charlie Christian e suonava la chitarra
elettrica come nessuno aveva saputo fare prima di lui e nessuno
seppe poi fare negli anni a venire. La successiva partenza di
Lionel Hampton, anch'egli maturo per dirigere un'orchestra, vide
fortunatamente l'arrivo di Cootie Williams, l'eccellente
trombettista di Duke Ellington, e l'acquisto di un giovane
arrangiatore bianco, Eddie Sauter, che sottopose al leader i suoi
"Benny rides again" e "Clarinet à la King",
due gioielli della discografia dell'orchestra. Il secondo dei due
brani fu registrato nel 1941, che fu l'ultimo anno di splendore
della formazione di Goodman, il quale poteva allora contare, oltre
che su Williams, su uomini nuovi come il pianista Mel Powell, il
trombettista Billy Butterfield, il trombonista Lou McGarity ed il
poderoso batterista nero Sidney Catlett. Anche la nuova cantante,
obbligatoria in quegli anni in ogni orchestra, era degna di
attenzione: era l'esordiente Peggy Lee.
Nel 1947, quando Goodman si trasferì con l'orchestra in
California, il mondo che lo aveva visto incontrastato sovrano
(quanto meno fino all'ascesa di Glenn Miller) non esisteva più.
Era venuta l'ora del bebop ed il clarinettista dovette fare i
conti con la nuova musica.
La sua prima reazione fu del tutto negativa: "Ho ascoltato
alcuni dei musicisti bebop" disse nel corso di un'intervista
"e, sapete, alcuni di loro non sono nemmeno caaci di tenere
una nota! Improvvisano alla meglio e non sono neppure dei veri
musicisti..... Molte delle cose che fanno sono piene di pretese.
Scrivono e suonano per l'effetto, e gran parte di quello che fanno
non ha swing." Pochi mesi dopo, tuttavia, si era in parte
ricreduto e nessuno si meravigliò quando BG incise un pezzo
intitolato "Benny's bop" e quindi un altro "Stealin'
apples", con la parteciazione di Fats Navarro. Ma l'avventura
nei territori del bop si concluse presto, senza soddisfazioni di
Goodman e tra lo sconcerto dei suoi vecchi ammiratori. Quanto ai
critici, ai musicisti e ai sostenitori del nuovo jazz, fecero
osservare che, nonostante il taglio moderno delle partiture ed il
lavoro dei suoi uomini, Benny Goodman aveva continuato
imperterrito sulla strada di sempre, suonando in quel suo stile a
tutti familiare, che con quello dei boppers non legava affatto.
Dopo riorganizzò complessi grandi e piccoli che non fecero storia
ed ebbero vita breve. Si dedicò sempre più alla musica classica
dando concerti importanti ed incidendo dischi molto apprezzati
(con musica di Mozart, Bartòk, Copland) e varcò più volte gli
oceani. Nel vecchio continente il clarinettista si è esibito a
volte accompagnato da grandi formazioni inglesi riunite per
l'occasione a Londra, e ha suonato le sue vecchie specialità. In
modo impeccabile, naturalmente.
Benny Goodman va dunque valutato per cio' che fece nei suoi anni
di gloria, nell'"era dello swing". E cio' che fece
allora giustifica ampiamente la sua fama. Qualche altro musicista
ha dato alla musica jazz un contributo più importante del suo;
nessuno più di lui, però, ha contribuito ad innalzare il livello
della musica leggera e a rendere popolare il jazz nel mondo.
Nessuno poi ha fatto cio' che fece lui per abbattere il muro della
discriminazione nei confronti dei musicisti neri. Nessuno, infine,
ha suonato con altrettamta maestria il clarinetto, che, nel
dopoguerra, finì per decadere, scomparendo quasi del tutto dalla
scena del jazz. (misterjazz) |