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Billie Holiday Nasce con il nome di Eleanora Fagan a
Baltimora il 7 aprile del 1915.
Il padre, Clarence Holiday, abbandona la famiglia
molto presto mentre la madre non è certamente una persona, e
tantomeno una madre, convenzionale. A causa di questo desolante
quadro familiare, quindi, Billie cresce sostanzialmente sola e con
notevoli problemi caratteriali.
Una delle tante leggende e dicerie che circolano sul
suo conto (questa però, purtroppo, con solidi e non peregrini
elementi di verità), le attribuiscono addirittura un passato di
prostituzione, esercitata in giovanissima età per guadagnarsi da
vivere e sollevarsi dal regime di miseria in cui versava la sua
famiglia.
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La sua vita ha una svolta quando, trasferitasi a New York, viene
scoperta da John Hammond, un artista che cantava in un Club di
Harlem e che disponeva di notevoli agganci e conoscenze. Nel 1933
Hammond arrangia per lei, con Benny Goodman (ossia uno dei massimi
clarinettisti, sia classici che jazz, della storia), un paio di
pezzi che segnano l'inizio della sua carriera. Nello stesso anno
apparve nel film di Duke Ellington "Symphony in black".
In seguito entra a far parte di una delle orchestre
più in voga del momento, quella di Count Basie e incide una
canzone con l'orchestra di Artie Shaw. Ormai nel "giro",
sembra che la sua carriera stia per decollare, tant'è che le
collaborazioni e le richieste di incisioni si susseguono. Ad
esempio, sul fronte delle produzioni più importanti, sono da
segnalare diversi dischi con il pianista Teddy Wilson e il
sassofonista Lester Young, altri nomi storici del jazz. Quest'ultimo
le attribuirà il celebre soprannome di "Lady Day" e,
nel 1939, diventa la stella del Cafe Society.
Sull'onda del successo, ormai riconosciuta come una
delle voci più intense della musica, incide la splendida "Strange
Fruit", un capolavoro di interpretazione e un inno contro il
razzismo di cui lei stessa in fondo è vittima. Il brano, per
reazione di alcuni ambienti conservatori, viene vietato in diversi
paesi.
Negli anni Quaranta e Cinquanta Billie Holiday si esibisce, con
grande successo, in locali di tutti gli Stati Uniti e nel 1946
recita nel film "New Orleans" con Louis Armstrong,
ma sfortunatamente è proprio in questo periodo che comincia a
fare uso di eroina. Lo sregolato e dissoluto regime di vita a cui
si sottopone interferisce pesantemente con la sua carriera
rovinandole fra l'altro la preziosa voce.
A questo riguardo Tony Scott, un suo musicista
collaboratore, ha detto di lei: "... Billie Holiday è stata
e sempre sarà un simbolo della solitudine: una vittima
dell'american way of life come donna, come nera e come cantante
jazz. Per la società bianca tutto questo voleva dire essere
l'ultima ruota del carro. Questo insieme di shock e traumi la
spinse a cercare un qualcosa che l'aiutasse ad annebbiare il
dolore spirituale e mentale. Appena si presentò l'opportunità,
cominciò subito a far uso di stupefacenti.
Nel 1956 scrive "La Signora canta il
blues", la sua autobiografia, da cui fu tratto un film con
Diana Ross nel 1973. Nel 1959 dopo la sua ultima incisione,
subisce un attacco di epatite e viene ricoverata in ospedale a New
York. Anche il suo cuore ne risente. Muore il 17 luglio, all'età
di 44 anni, con la polizia attorno al suo letto. Il suo grande
amico, Lester Young, era morto il 15 marzo dello stesso anno.
Sempre dalle parole di Tony Scott, riportiamo una
toccante immagine della cantante: "[...] Solo due donne nella
mia vita non mi hanno mai offeso: mia madre e Billie Holiday.
Tutti ascoltano i dischi di Billie, tutti conoscono il suo nome.
rappresenta la "vittima". La sua voce tocca chiunque,
anche chi non capisce le parole, perché il suo canto nasce
direttamente dall'anima. L'anima di un essere umano molto
profondo, che capisce la tristezza, la felicità, la solitudine,
il successo e che fu sempre destinata ad avere un no good man a
fianco, un buono a nulla". (biografie.leonardo.it) |