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"Out of this world", fuori di questo mondo: così spesso era definito Art Tatum dagli altri jazzisti. Era il pianista eccelso, il virtuoso insuperabile, il modello ineguagliabile per tutti. La sua presenza in un qualsiasi locale jazz faceva cogliere dal panico il pianista di turno che, con deferenza, spesso si alzava per cedergli il posto.
Si era presentato a New York nel 1932 per accompagnare la cantante Adelaide Hall e aveva lasciato tutti di stucco. Il mondo del jazz lo conobbe nel 1933, dopo che furono pubblicati i primi dischi, e durante le sue performances all' Onyx Club, nella 52a strada.
Talento naturale e precocissimo, aveva iniziato a suonare ad orecchio lasciando increduli i genitori. Venerato come un santone, fu per molto tempo un solitario, un solista nel vero senso della parola. |
Il suo momento magico giungeva quasi regolarmente durante gli "after
hours", quando i musicisti suonavano per loro stessi e pochi intimi ed i locali erano praticamente già chiusi. Coloro che lo hanno ascoltato in quei momenti hanno sempre sostenuto che le incisioni non rendessero piena giustizia al suo talento incredibile.
Quelli che considerava suoi amici erano pochi, Art accordava la sua fiducia con prudenza
perchè, come molti ciechi, era diffidente per natura. Era però indulgente con tutti i suoi colleghi e soleva ripetere che vi fosse da imparare sempre, anche dai peggiori.
Anche il grande Fats Waller si faceva serio quando lo incontrava e non si peritava a definirlo come il più grande pianista jazz di sempre. La sua fama fece il giro del mondo grazie ai numerosi dischi che pote' incidere e diventò l'attrazione principale della 52a strada, un po' come Billie
Holiday. Il suo successo raggiunse l'apice quando costituì, insieme al contrabbassista Slam Stewart ed al chitarrista Tiny Grimes succeduto poi da Everett
Barksdale, il suo trio, seguendo la "moda" del momento. La sua musica comunque non scadde mai a livelli commerciali e Barksdale ricordava come egli spesso affermasse di non "udire" in anticipo cio' che si accingeva a suonare ma soltanto di "sentirlo", prima.
La velocità delle sue mani era stupefacente, per mantenerla Art Tatum si esercitava alla tastiera per 5-6 ore al giorno ed aveva perennemente tra le dita una nocciola che rigirava in continuazione.
La sua massima aspirazione era quella di diventare un concertista classico, gli sarebbe piaciuto, diceva, suonare con l'orchestra sinfonica di Boston o con quella di New York ma sapeva anche di dovere al colore della sua pelle se le sue ambizioni non avrebbero mai potuto essere realizzate. "Vedete questo ?" diceva ai colleghi riferendosi a qualche jazzman bianco "Ci sono almeno duemila persone che sanno suonare meglio di lui; lui però venderà mezzo milioni di dischi mentre Willie "The
Lion" Smith se ne sta a fumare sigari nella sua stanza, senza poter lavorare. Quando finirà questa storia ?"
Tatum non riuscì a vedere la fine di questo stato di cose che lo confinò sempre nei locali notturni, morì infatti abbastanza giovane il 4 Novembre 1956. Non riuscì neanche a compiere la sua seconda tournèe europea che avrebbe coronato degnamente la sua carriera.
La fondamentale ragione per annoverare il pianista di Toledo tra i grandissimi del jazz deve essere ricercata nella sua relativa indipendenza dagli stili dominanti negli anni in cui operò; dalla sua capacità di precorrere i tempi e dalla persistente attualità della sua musica. L' opera di Art Tatum è abbondante ed è tutta almeno di buon livello, nella stragrande maggioranza i dischi lo presentano in veste di solista. Particolare curiosità rivestono i dischi incisi per la Verve registrati insieme a personaggi importanti, come Lionel
Hampton, Ben Webster, Benny Carter, Roy Eldridge e Buddy Rich. I migliori dei quali sono quelli con Ben
Webster, un maestro, al pari suo, della tecnica delle variazioni sul tema. |