Dino Facchinetti
Chiacchierata con Dino Facchinetti, pittore, incisore, scultore, poeta
e graesano vero, personaggio schivo, legato anima e corpo alla sua isola
e innamorato dell'arte. In questi giorni, le sue opere sono in mostra a
Zagabria, grazie all'interessamento dell'Istituto italiano di cultura.
Per incontrarlo è inutile cercare il suo numero di telefono
sull'elenco: non c'è. È meglio mettersi a passeggiare
sulla diga di Grado rigorosamente ad esclusione dei mesi turistici
e allora forse capiterà di incrociare un Dino Facchinetti con
i capelli al vento che discute con un amico respirando il mare. Se
poi si intende intervistarlo e si è riusciti ad aggirare
ostacoli come il fissare un appuntamento e trovare il suo studio,
che non è indicato da targhette o numeri civici, si capirà
subito che non è il caso di far partire registratori e nemmeno
di prendere appunti mentre lui parla, perché o si stabilisce un
dialogo "vero" o non si approda a nulla.
Così, dopo essermi inerpicata su una ripida scaletta che porta
nello studio con vista sui tetti di Grado, le domande accuratamente
preparate non potranno essere rivolte perché Facchinetti dice
quello che vuole lui, nell'ordine che gli salta in mente, soprattutto
intende parlare dell'isola del sole, di come la stanno riducendo con
interventi sconsiderati, di quanto sarebbe necessario per le nuove
generazioni mantenere un legame con il passato genuino e nobile di
un antico centro di pescatori e marinai.
Ma io sono qui per la mostra che si aprirà a Zagabria a fine
ottobre e allora azzardo: «Partiamo dalla fine: vorrei qualche
notizia sulla prossima esposizione». Sembra perplesso, rovista
fra fogli e foglietti, gli vengono tra le mani pezzi di carta variamente
scolorita che odora con voluttà («Ah... il profumo delle
carte vecchie...») e finalmente trova un appunto : "Istituto
Italiano di cultura, direttore Flavio Andreis, curatore prof. Mladen
Machiedo".
Compare una rassegna fotografica delle opere già inviate a
Zagabria, una quarantina, che, mi rendo conto, segnano un nuovo momento
nell'attività del pittore-incisore-scultore per l'ulteriore
elaborazione di temi già indagati in passato, ma mentre sto per
chiedere: «Quali sono i temi privilegiati in questa mostra?»,
lui, prevenendomi, dichiara che «non esistono soggetti. Non esiste
distanza tra artista e oggetto della sua arte. Questa annullerebbe la
possibilità dell'incontro poiché o si dà
immedesimazione dei due poli o nulla avviene che si possa definire arte.
Non rappresentazione del reale, dunque, ma innamoramento, identificazione,
ri-creazione».
Prende una matita e disegna velocemente su un foglio la mappa di Grado.
«Ecco - mi mostra - Grado è una barca, anzi un "barco",
e l'uomo di Grado è anch'egli un barco che non sa muoversi in terra
ferma, deve navigare, andare in giro per il mondo ma anche mantenere un
capo del canavo qui, nel suo porto».
Opportunamente, per farmi capire, apre le cartelle di plastica che
raccolgono i suoi tesori: carte straordinarie realizzate con tecnica
mista che smista velocemente segnalandomi il "barco" stesso
sul cui fasciame vibrano di colore acceso crittografie che, mi spiega,
riprendono codici della famiglia materna, oppure "l'uomo di
Grado", una figura perentoria ripiegata su se stessa in un moto
rotatorio che non la isola, mettendola piuttosto in comunicazione con
un contesto indeterminato. «Prima erano i covoni, la laguna, ma
si deve andare avanti, anche se per gradi, in modo che la gente ti venga
dietro. È importante essere seguiti». Questo profondo legame,
questo rispetto delle persone gli ha fatto dedicare "A Grado e alla
sua gente" una grande mostra antologica al Palazzo dei Congressi
nel 1989. Una "Notizia" che mi allunga all'ultimo momento mi
consente di ricostruire le tappe del suo lavoro: 1971 esposizione a Roma,
1974 a Stoccarda, 1981 e '85 a Grado, '88 a Trieste, '91 e '92 a Milano,
e nel frattempo si compra un torchio ad Urbino e si dedica anche
all'incisione («Un artista deve espandersi senza limiti, in
ogni direzione», sostiene), partecipando a diverse rassegne
nazionali fra cui "Es-pressioni" a Urbino e "Torchi
Paolini" a Ravenna.
Del '95 è un libro dedicato alle mani (testo di Renzo Sanson) e
suoi 45 disegni di mani vengono esposti al Centro etnografico di Sauris di
Sopra. Ultime fatiche le carte da gioco gradesi, "Le Graisane",
e le 23 tavole artistiche per il V volume della collana "Miti, fiabe
e leggende del Friuli storico Tere de Gravo e de Maran" (Chiandetti).
Io intanto ho capito che non gli va di sentire domande del tipo:
«Quali sono stati i suoi maestri?», e che preferisce parlare
degli amici pittori e poeti, non dei critici per mestiere, che non ama, ma
di coloro che lo hanno stimato come artista per una loro sensibilità
o com-partecipazione emotivo-culturale, come il vecchio Coceani, primo a
intuire le attitudini di un ragazzo ostinato e a indirizzarlo verso la
pittura, o come Biagio Marin, il più vicino e ascoltato interlocutore,
deciso sostenitore il quale insisteva: «Devi essere artista»,
quando il giovane Facchinetti non comprendeva ancora che l'imperativo era
di tipo interiore, a dire l'inevitabilità dell'arte. Altri amici
sono il grande maestro Ernesto Treccani e il poeta Franco Loi, attento
conoscitore dei linguaggi delle periferie, che insieme a Mario de Micheli
firma il catalogo "Incisioni 1982-1993".
Facchinetti crede nella relazione tra persona e persona, nel fluire da una
all'altra del sentimento e dell'emozione, anche quando va ad insegnare il
colore ai bambini delle scuole, ai disabili, che poi lo chiamano «Dino,
Dino!» vedendolo passare. Facchinetti ama la musica, vorrebbe una casa
dove poter mettere tutti gli strumenti possibili e non solo l'armonica
ereditata dal nonno e passata anche per le mani di suo padre. Facchinetti
è terribilmente serio rispetto la vita, sente affetti e
responsabilità fino nel profondo, e a un certo punto confessa:
«Non mi diverto affatto a dipingere», per dire la fatica
di raggiungere il cuore delle cose, e poi concludere che è
comunque una strada di felicità in cui solamente trova
realizzazione di sé.
E quando sono passate le ore e la conversazione potrebbe continuare
perché ci siamo intesi ma la quotidianità ci assedia,
quest'"uomo di Grado", questo pescatore chino a raccogliere
conchiglie, a riparare reti, questo solitario, appartato artista mi fa
il regalo di consentire la trascrizione di alcuni suoi versi che sigillano
la sua appassionata maniera di stare al mondo: «Una fresca caressa /
fa vilizā il barco intonao de zogie / al cuor, va in vampa, / e le zornae
se slonga ariose».
(
www.nuovofriuli.com )
Due vedute aeree dell'isola di Grado (Gorizia)